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A un passo dal fango: denuncia e ricordo

Scritto da il 28 Set 2011/ 10:56. Letto 1.161 volte. Registrato sotto Artisti, Cinema, Cronache, Cultura, In evidenza, Messina. Puoi seguire la discussione attraverso RSS 2.0. Puoi lasciare un commento o seguire la discussione

Com’è nata l’idea di questo film documentario?
Ci pensavo da tempo, dopo aver scritto la prima sceneggiatura di un lungometraggio – che avrebbe dovuto intitolarsi “Il paese è nostro” – basato sulla tragica alluvione del 2009 a Giampilieri. Sentivo la necessità di concentrare il dramma di intere comunità su pochi personaggi ispirati a persone realmente vissute, e al tempo stesso di ampliare gli effetti della devastazione in chiave metaforica, oltre i confini regionali. Ma la Sicilia, e in particolare Cine Sicilia che avrebbe dovuto dare la scintilla produttiva iniziale (come più volte ha assicurato il Governatore Raffaele Lombardo) si trova in una fase di totale immobilismo. Nell’attesa, viste le difficoltà, i miei produttori mi hanno stimolato a farne un documentario, e così ho iniziato a selezionare oltre trenta ore di materiale video, e girato alcune parti in chiave fiction. Spero che di Caldo grigio caldo nero il pubblico colga la sottotraccia metaforica, che il film possa contribuire a stimolare la consapevolezza che non solo di fango materiale si muore. C’è quello immateriale, impalpabile, altrettanto orrendo. Uccide la dignità dei vivi e la memoria dei morti.

Nonostante il numero delle vittime e le dimensioni della tragedia, ciò che è successo a Giampilieri non ha destato nell’opinione pubblica la stessa attenzione riservata ad altri disastri naturali: nel film si offre una spiegazione, “Non hanno avuto né occhi né orecchi, perché qui siamo tutti mafiosi e abusivi”…
C’è una tendenza dei siciliani a piangersi un po’ addosso, associata a un senso di storica sudditanza, sommato a sua volta ad un certo fatalismo di stampo verghiano. Questa volta, però, e credo non sia l’unica, la ragione sta dalla loro – dalla nostra – parte. L’opinione pubblica è rimasta piuttosto fredda perché attraverso i media è passato un messaggio a dir poco devastante: la colpa di tutto sarebbe stata dell’abusivismo e dell’ignoranza… parole dell’allora capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, ribadite dai Soloni dei vari talk show televisivi. Il risvolto è che chi è causa del suo male pianga se stesso. Spero che su questo punto il mio film accenda una piccola luce di verità: le responsabilità vanno cercate nell’abbandono del territorio e nel dissesto idrogeologico diffuso: impluvi, scoli torrentizi e fiumare erano totalmente abbandonate all’incuria e al degrado, senza neanche l’ordinaria manutenzione. Perché, nonostante le avvisaglie del 2007, nessuno è intervenuto per prevenire la sciagura?

A proposito di Bertolaso: perché la scelta di non mostrare le autorità, ma di “incorniciarle” nei ritratti a olio che vediamo nel film?
Perché nel bene e nel male non fanno parte della gente comune; anzi, sono sempre più distanti. Dovrebbero svolgere, in nome dell’interesse della collettività, un ruolo di primo piano proprio per dare risposte… ma avete mai sentito un ritratto rispondere a una domanda? Il silenzio o le tante autorevoli dichiarazioni – che nei fatti nel silenzio si sostanziano – meritano una cornice dorata.

Nel film compaiono Maria Grazia Cucinotta, Ninni Bruschetta e Nino Frassica: come ha scelto questi tre “testimonial”?
Tutti e tre avevano già sposato il progetto de Il paese è nostro: è stato quasi automatico averli come testimonial in questo documentario. Maria Grazia, Ninni e Nino sono, come me, messinesi e dunque sensibilmente coinvolti nel dramma di quelle comunità. Non credo, però, che la ragione della loro adesione sia soltanto questa: gli attori, e in generale gli artisti, hanno una naturale predisposizione a stare in contatto con le persone, ne interpretano i sentimenti e sono pronti a stare a loro fianco soprattutto nei momenti di difficoltà.

Qual è oggi la situazione a Giampilieri e nei villaggi limitrofi?
La risposta è nelle parole pronunciate nel film dalla signora Bellomo, moglie del disperso Santi, che nel prefinale dice: «Dopo un anno e otto mesi il paese è come prima, forse peggio, è finito tutto…». Le fanno da contro canto i pensieri di alcuni alunni delle scuole medie che, riferendosi ai “ritratti”, descrivono con parole semplici come dovrebbe essere il loro paese ideale. È importante ricordare, inoltre, che nel maggio scorso il Governo centrale ha bloccato i fondi F.A.S. per la Sicilia, parte dei quali destinati alla ricostruzione.

A quando risalgono le immagini che vediamo nel film?
Le immagini sono il compendio di un anno e mezzo di riprese effettuate in vari momenti e in stagioni diverse. Da tre giorni dopo la tragedia del 1° Ottobre 2009 fino al giugno 2011. Mi mancavano, ovviamente, le immagini “live”, quelle girate con cellulari e videocamere amatoriali proprio durante le devastanti colate di fango. Mi sono state offerte da chi è riuscito a salvarsi. È stato prezioso anche il materiale video dei Vigili del Fuoco e quello dei cinereporter dei network locali.

Accanto alle immagini drammatiche della tragedia, il film può contare anche su un “tappeto sonoro” molto efficace…
Nel film c’è molta musica, e ci sono suoni, rumori, parole: i tratti di silenzio, lo sferragliamento delle pale meccaniche, la telefonata di Berlusconi durante la Messa di Natale, l’omelia dell’arcivescovo La Piana, fanno parte della stessa partitura. Anche la poesia di Guido Oldani, recitata da Maria Grazia Cucinotta, è musica oltre il significato delle parole. E poi c’è il Padre Nostro in lingua rumena: un acuto lirico che inonda le navate del Duomo mentre sfilano le bare coperte dal nostro tricolore e alla fine da quello rumeno. Almeno nella morte un principio d’integrazione.

Il caso ha voluto che, dopo aver collaborato spesso con Marco Bellocchio, lei presenti a Venezia questo suo primo lungometraggio proprio nell’anno del Leone d’oro al maestro: ha avuto modo di confrontarsi con lui riguardo all’intenzione di girare il film?
È una coincidenza fantastica, lo strameritato Leone per Marco mi riempie di gioia. Siamo stati diverse volte insieme a Venezia e a Cannes, lui come autore, io come scenografo dei suoi film. Non avrei mai potuto immaginare di ritrovarmi un giorno con Bellocchio alla Mostra del Cinema: lui a ritirare “l’oro” del Leone alla carriera, e io a portare il “fango” in laguna. Sì, Marco ha seguito il cammino – ancora incompiuto – de Il paese è nostro, ne ha letto un paio di stesure e i suoi consigli mi sono stati più che preziosi. Di Caldo grigio, caldo nero non gli ho parlato, non ne ho avuto il tempo, travolto come sono stato dal durissimo lavoro di selezione di una montagna di materiale video e successivamente dalle riprese a Giampilieri. Spero che venga a vederlo e che io non debba arrossire dall’imbarazzo.

Immagino che essere a Venezia come regista sia una grande soddisfazione…
Certo, ma la soddisfazione più grande è essere riuscito a onorare l’impegno che avevo assunto con me stesso e soprattutto con gli abitanti di quei paesi: portare in una vetrina internazionale come la Mostra del Cinema la voce di un pezzo d’Italia che continua ad essere inascoltata.

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