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Gran Torino

Scritto da il 24 Ott 2010/ 13:53. Letto 687 volte. Registrato sotto Cinema. Puoi seguire la discussione attraverso RSS 2.0. Puoi lasciare un commento o seguire la discussione
Gran Torino, capolavoro di Clint Eastwood, antidoto al liberismo selvaggio, a tutti gli ismi coniati per convincerci che l’acqua non è acqua, il progresso non è male, il mondo è relativo.

E Clint uomo, attore, regista e narratore, nel film è Walt Kowalski, metalmeccanico in pensione e fresco vedovo al crepuscolo della sua esistenza. Egli si osserva intorno e non si riconosce nei figli che ha allevato, disprezza gli abitanti del suo quartiere alla periferia di Detroit, “invaso” proprio da quei “musi gialli” che aveva combattuto in Corea.

Lui, Walt, reduce rancoroso pieno di sé e della sua solitudine, la mano che stringe al prossimo è la canna del suo fucile puntata addosso verso chi invade il suo giardino, ma soprattutto l’arma contundente delle sue parole, esatte, sibilline, astiose verso il mediocre attaccamento agli oggetti e ai valori che egli possiede e che i parenti tentano di sottrargli: la nipotina discinta in Chiesa col piercing alla moda, in occasione del funerale della nonna, ostenta un morboso interesse per l’auto d’epoca strafica modello Ford “Gran Torino” e il divano di proprietà del nonno; il figlio e la nuora si limitano invece all’idea di sfrattare il papà di casa, per riservargli una serena vecchiaia in un ospizio.
La “Gran Torino” del ‘72 gelosamente custodita da Walt nel suo garage è un baluardo antico, trincea rispetto ad una modernità violenta scevra da valori, invasa dalla percezione infestante di giovani bulli che tutto sia concesso, in un territorio suddiviso in ghetti autoescludentisi, ognuno nemico del retaggio culturale e somatico di cui è portatrice l’etnia diversa dalla propria.
Clima da guerriglia urbana di gang fuori controllo, siamo in America e riconosciamo nei personaggi del film, caratterizzati con vivida potenza, le figure del giovane prete, imberbe “verginello imbottito di letture che tiene le mani di vecchiette superstiziose promettendogli l’eternità”, del barbiere confidente e del giovane apprendista Thao, o “tardo”, perle definitorie di Walt.
Riti di passaggio all’età adulta, linguaggio militaresco d’altri tempi, eppure rivisto con fare ironico dissacratore che nega quello che dice per ribaltarlo nel suo contrario. I “musi gialli” del quartiere non sono altro che gli alleati designati degli Americani durante le loro guerre coloniali, conclusesi con la diaspora di un’intera etnia hmong non appena i soldati americani si sono ritirati, per questo quegli immigrati vicini di casa del protagonista possiedono una dignità e mostrano di avere una cultura intrisa di valori, sacrifici e perseveranza, molto simile a quella di Walt più di quanto egli immagini.

L’anziano protagonista quindi strabuzza gli occhi e si convince che il giovane Thao e sua sorella sono i figli che avrebbe voluto seguire, strappare alle grinfie di una modernità che si esprime nella finta virilità di bande armate, insomma educarli ai sani principi e alla civiltà.

Fonte: Palermo24h.com

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