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Sulle orme dei beati paoli

Scritto da il 24 Ott 2010/ 20:08. Letto 1.422 volte. Registrato sotto Eventi. Puoi seguire la discussione attraverso RSS 2.0. Puoi lasciare un commento o seguire la discussione

Turisti per un giorno, domenica 10 maggio 2009, nei luoghi che ispirarono a Luigi Natoli il romanzo I Beati Paoli, pubblicato in dispense allegate al Giornale di Sicilia esattamente cento anni fa. La leggenda popolare ha caricato di misteri uno dei quartieri più popolari della città di Palermo, “il Capo”, che secondo la guida dell’associazione La Palermo dei Misteri, era il quartiere dove operava l’antica setta dei Beati Paoli, “vendicosi” o “scellerati” –  come li  definì il Marchese di Villabianca che ne parlò in uno dei suoi diari palermitani. La vicenda del romanzo, ambientata nel settecento, si dipana nel cuore segreto di Palermo, tra gallerie sotterranee e antri oscuri del quartiere del Capo. L’esistenza della setta dei Beati Paoli viene fatta risalire alla fine del XII secolo dal Villabianca, il quale annota anche i nomi di alcuni dei suoi adepti: il “razionale” Girolamo Ammirata impiccato al piano del Carmine nel 1723, il maestro scoppettiere Giuseppe Amatore passato per la forca nel 1704 nel piano della Cattedrale, e l’amico del Marchese e famoso cocchiere Vito Vituzza.

I Beati Paoli, da non associare affatto con i mafiosi ante litteram – puntualizza la guida – agivano a fin di bene: toglievano ai ricchi per dare ai poveri e punivano i potenti responsabili di soprusi, sfuggendo alla legge costituita attraverso l’astuzia del loro abbigliamento, un saio di colore nero dei frati minimi di San Francesco di Paola, e l’utilizzo dei sotterranei. Palazzi e chiese erano infatti collegati da una fitta ragnatela di cunicoli che permettevano agli appartenenti alla setta di agire indisturbati e di trovarsi là dove nessuno se lo aspettava. Lungo la via Porta Carini scopriamo i catoi, le abitazioni della povera gente. All’interno del cortiletto da noi visitato sono ben visibili, accanto alle abitazioni, i segni di una cappella, luogo di preghiera ma anche d’ipotetico accesso, attraverso cunicoli che da li si dipanavano, alla grotta tribunale, dove la setta si riuniva per emettere le sentenze.

La chiesa della “Concezione” si prestava ad offrire rifugio e assistenza ai Beati Paoli, perché nel monastero annesso le suore tenevano un ospedale. L’interno della chiesa è decorato con mosaici di marmi di diversi tipologie, secondo l’antica tecnica di lavorazione a marmi mischi, o rabbischi. Passando per la via Porta Carini, nel cui sottosuolo c’è il cunicolo utilizzato dalla setta per i suoi spostamenti, percorriamo la discesa dei Beati Paoli scoprendo l’insegna della sede della fantomatica setta. Nei pressi della piazza del Monte di Pietà veniva coltivato il papiro poiché in questo luogo, adesso adibito a parcheggio, le acque del fiume Papireto stagnavano formando delle lagune. I condotti del fiume si prestavano anch’essi agli spostamenti della setta nei periodi di secca; più recente e documentato in quel luogo è l’utilizzo delle acque del fiume per muovere le macine dell’opificio adibito alla produzione del cotone palermitano, grezzo e resistente, “u matapuollu” che veniva esportato in Francia.

Il cammino prosegue passando accanto all’oratorio di Santo Onofrio, meglio conosciuto come Santu Nofriu u pilusu per il suo potere di far ritrovare gli oggetti smarriti, anche i mariti – secondo la nostra guida che ricorda l’usanza delle zitelle di imbucare le loro richieste al Santo nelle fessure praticate sulle mura dell’oratorio. Dopo un passaggio di sgradevole odore stantio nella cripta della Chiesa di Sant’Agostino, destinata a contenere appesi alle nicchie o distesi nei tavolieri i parenti defunti, imbalsamati con una procedura naturale, ritorniamo in superficie a riveder il sole e passeggiamo fino al palazzo nobiliare del duca Della Motta, personaggio del romanzo natoliano; nella realtà storica, il palazzo apparteneva al pittore Gaspare Semeraro vissuto nel ‘700. In cima è ben visibile il loggiato che serviva, a partire dalla fine del ‘500, a tenere d’occhio le acque del fiume Papireto, allora navigabile e, quindi, potenziale via d’accesso per i pirati. L’itinerario si conclude sul greto del fiume Papireto dove sostiamo circondati da argini imponenti, destinati un tempo a contenere le acque del fiume adesso sotterraneo.
Fonte: Palermo24h.com

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