Per sette anni la sua famiglia non aveva alcun reddito, per venti anni i “beni dichiarati erano appena sufficienti al mantenimento di un ordinario tenore di vita”. Nonostante le cifre poco incoraggianti della sua dichiarazione dei redditi, il boss Gioacchino Siggia, 82 anni, possedeva case, terreni e aveva soldi in banca. I beni, secondo l’accusa acquisiti grazie alla sua attività al servizio di Cosa Nostra, sono stati sequestrati. Il provvedimento è stato firmato dai giudici della sezione misure di prevenzione del tribunale di Agrigento. Il collegio presieduto da Franco Messina ha fatto apporre i sigilli a nove appezzamenti di terreno, due fabbricati e un libretto nominativo. L’origine di questi beni, intestati anche ai familiari, secondo gli accertamenti della Guardia di Finanza non può essere riconducibile in nessun modo ai redditi dell’anziano riberese. Siggia è stato condannato con sentenza definitiva a tre anni e quattro mesi di reclusione per l’accusa di associazione mafiosa. Il suo nome è legato all’operazione “Welcome back”. Il 5 luglio del 2006 finirono in carcere quattro persone, ritenute componenti della “malavita” italo-americana. Siggia, per via dell’età avanzata, fu posto agli arresti domiciliari. L’inchiesta ha preso spunto dal ritorno in Italia (da qui il nome dell’operazione “Welcome back”, ovvero “bentornato”) di Gennaro Sortino rientrato, dopo sedici anni di latitanza negli Usa, grazie a un provvedimento di estinzione della pena. L’operazione dei carabinieri ebbe anche il merito di stroncare la carriera del quarantenne Giuseppe Capizzi, figlio di Simone Capizzi, mafioso di “lungo corso”, condannato all’ergastolo. Il giovane rampollo in quel momento era il braccio destro dell’allora capomafia di Agrigento Giuseppe Falsone. L’indagine fu avviata nel 2001, cinque anni prima degli arresti, mediante intercettazioni ambientali e telefoniche.
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